Gian Carlo Cappello e una storia di scoperta.
Dopo aver lavorato per 28 anni come progettista di giardini, anche oltre i confini italiani, arriva ad un momento di difficoltà.
Perdersi, per poi ritrovarsi. Trovare se stessi anche attraverso un nuovo progetto: la “Civiltà dell’Orto”, dove si pratica l’orticoltura sperimentale.
Nessuna lavorazione del terreno, nessun uso di fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti: né chimici, né organici. Un modo di coltivare la terra ancora più naturale delle coltivazioni biologiche, accettando i tempi naturali di crescita delle piante.
Qual era il tuo sogno da bambino?
Scrivere e coltivare. Gli amici mi chiedevano di scrivere a loro nome lettere d’amore sin da quando avevo 9 anni…
Come hai scoperto la passione per questo lavoro?
…poi ho incontrato una mucca frisona, le ho scritto una lettera d’amore e nella stessa estate mi sono iscritto alla scuola agraria. Era il 1971, vivevo ancora sull’Appennino emiliano.
Quai persone ti hanno appoggiato nel perseguire la tua strada professionale?
Parafrasando un vecchio ritornello: “Nessuno, ti giuro nessuno…”. I miei erano albergatori e mi volevano iscrivere alla scuola alberghiera, ma poi hanno accettato di buon grado la mia scelta.
Quali sono stati i momenti difficili in cui hai pensato di lasciare la carriera?
Quando mi sono accorto che la scuola agraria di Pistoia, patria del vivaismo (la più vicina al mio paese, malgrado fosse in Toscana), alla quale mi ero iscritto, era specializzata in verde ornamentale. Ma ormai era troppo tardi.
Dal 1977 al 2005 ho applicato gli studi agrotecnici alla progettazione e posa in opera del verde pubblico e privato, in Italia e all’estero. Poi sono entrato in crisi esistenziale e mi sono ritirato a coltivare “verde alimentare” spostandomi da Fiesole, dove avevo lo studio, a Sacrofano nelle vicinanze di Roma. Lì nasce il mio primo orto naturale.
Per uscire del tutto dal momento di crisi interiore ho anche deciso di regalare tutto come San Francesco e di vivere senza soldi, o quasi.
Cosa fai quando incontri momenti di difficoltà?
…difficolchè? Non sono più sintonizzato sull’apprensione, quindi non le ricevo come tali.
Quali sono le caratteristiche che, secondo te, servono per raggiungere i propri traguardi?
L’onestà verso se stessi sino alle estreme conseguenze. Il che non significa essere rigidi, ma semmai trovare un equilibrio tra l’intuizione e la razionalità. Lasciare libero l’intuito quando si è in pace con se stessi significa cogliere ciò che si armonizza col proprio sentire; la razionalità arriva sempre un attimo dopo e mette un po’ di ordine. Tu come donna mi capisci, questo è un atteggiamento esistenziale che vado a scoprire nella parte femminile che alberga in ogni uomo.
Cosa ti senti di consigliare a chi fatica a trovare la propria strada?
Ho quasi sessant’anni e fino a 51 non ho saputo neppure capire cosa mi interessava di più nella vita. Ora, dopo l’esperienza vissuta negli ultimi anni, credo che il miglior modo di trovare se stessi sia di allontanarsi dalle città e di non fare assolutamente niente – senza sentirsi in colpa – fino a quando da qualche parte della propria natura interiore non appare qualcosa in sintonia con la Natura.
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